
«Un corpo umano non fa lo stesso rumore di un vaso. Non fa lo stesso rumore di un bicchiere di cristallo. Fa il rumore di un sacco di cemento, o di quei dizionari grossi e duri».
Cadere racconta la storia di una famiglia piena di crepe, proprio come la casa in cui abitano. C’è un padre, Armando, che si rifiuta di piegarsi alla corruzione dilagante e ormai considerata normale mettendo davanti a ogni cosa il suo senso di giustizia; una madre, Mariana, che si sta spegnendo giorno dopo giorno a causa di una malattia sconosciuta che la divora da dentro; il figlio Diego che non crede nella rivoluzione anche se è cresciuto con le storie di Che Guevara che gli raccontava sempre suo padre e poi c’è María che per tirare avanti inganna Armando e che si trova da un momento all’altro a occuparsi della madre che crolla all’improvviso in preda alle convulsioni, che ha smesso di lottare, che si sente «un gomitolo sul letto, le lenzuola sporche». Mariana si guarda allo specchio e vede «una faccia impervia, desertica», non è più la stessa di un tempo, quando faceva l’insegnante ed era ben voluta da tutti i genitori dei suoi alunni. Adesso resta ferma lì a guardare la vita che scivola via da lei.
I giorni si susseguono come «cani rabbiosi», non concedono neanche un attimo di tregua e nessuno. Ogni mattina c’è una crepa nuova, diversa dalle altre, che i personaggi si trovano ad affrontare: la famiglia si sfalda piano piano, si lascia andare sotto il peso delle difficoltà della vita senza più riuscire a rialzarsi mentre tutto attorno si sgretola irrimediabilmente. Sullo sfondo c’è un paese che sembra quasi disegnato matita, deluso, polveroso e abbandonato a un destino incerto. C’è Cuba, con il sole che «entra a coltellate spaccando il salotto e le camere in due o tre» lasciando un profondo senso di nostalgia per quello che poteva essere e che invece non è stato. Quel sole brucia di realtà anche la prosa lirica e toccante di Carlos Manuel Álvarez. Ma la vita continua, anche se non ha senso, anche se la famiglia di Armando, ma anche tutti i cubani, si sentono calpestati dalla storia di un paese che ha definito la loro esistenza. Perché «la cosa assurda della vita non è che la vita finisca. Il fatto che finisca è, in fondo, meno insensato del suo ridicolo inizio. L’assurdità della vita è la sua cattiva distribuzione, penso, quell’evidente squilibrio interno degli eventi, la cattiva ripartizione dei fatti importanti».
Ma quando neanche la notte porta consiglio, ecco che i pensieri si affollano nella testa e martellano, sempre più forti, premendo contro di noi, la nostra vita, il nostro futuro. I pensieri non lasciano scampo a nessuno. E solo allora capiamo che l’unica arma è «smettere di avere paura del buio, smettere di avere paura dei rumori, sapere che i rumori sono amici, il vero rivale è il silenzio».
Traduzione di Violetta Colonnelli, Sur